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La crisi venezuelana e il Referendum contro Chavez

Di Marisa Bafile

18 Febbraio 2004 - Il Venezuela continua a boccheggiare. Impantanato in una crisi politica ed economica senza precedenti, il paese latinoamericano, quarto produttore del mondo di petrolio, vive un clima da guerra civile a causa dell’estrema polarizzazione tra simpatizzanti e oppositori al governo del Presidente Hugo Chàvez.

Unico spiraglio di luce, per una soluzione democratica e senza ulteriore spargimento di sangue, è il referendum che permetterebbe ai cittadini di poter decidere sulla destituzione del Presidente. La costituzione venezuelana prevede infatti che, alla metà del mandato, i cittadini possono raccogliere le firme per indire un referendum con il quale revocare il mandato di tutti coloro che sono stati eletti (parlamentari, governatori, sindaci, fino allo stesso Capo di Stato).

Nello scorso mese di dicembre le forze di opposizione hanno raccolto 3.1 milioni di firme per revocare il mandato del Presidente Chàvez. Il tetto minimo per ottenere il placet dal Consiglio Nazionale Elettorale era di 2.4 milioni pari al 20 per cento degli elettori. In questi giorni si sta procedendo alla verifica delle firme e se il CNE ammetterà la validità di almeno 2.4 milioni, entro tre mesi i cittadini saranno chiamati alle urne.

Sì o no al Presidente. E intanto la tensione cresce. Chavez e i suoi uomini denunciano presunti brogli nella raccolta delle firme, ma nessuno degli organismi indipendenti di osservazione internazionale, chiamati a monitorare la raccolta delle firme li ha riscontrati. L’opposizione esige dal consiglio elettorale una risposta entro i limiti di tempo previsti dalla Costituzione. In questa situazione corrono minacce e riecheggiano parole come golpe e autogolpe.

Con una situazione interna tanto tesa assume importanza la solidarietà internazionale. Lo ha capito Jimmy Carter che, in un recente viaggio in Venezuela, ha chiesto di permettere ai tecnici del Centro Carter e dell’Osa di seguire l’iter della verifica delle firme in ogni sua fase per garantirne la trasparenza. Richiesta accolta dal CNE dopo qualche tentennamento. L’Europa non può restare indifferente a quanto accade in Venezuela. Meno che mai l’Italia che in quel paese ha circa due milioni di connazionali.

Molte sono state fino ad oggi le iniziative portate avanti dai Democratici di Sinistra per controllare il percorso democratico del referendum, con l’invio di una deputata Romana Bianchi, nel gruppo di osservatori internazionali indipendenti e per sostenere le forze democratiche. Per permettere all’Italia di capire meglio le vicende del Venezuela e seguirle con l’attenzione che meritano è stato invitato un autorevole esponente venezuelano, il giornalista e politico Teodoro Petkoff attualmente direttore del quotidiano Tal Cual insieme a chi scrive, vicedirettrice del quotidiano locale in lingua italiana La Voce d’Italia.

L’invito era rivolto anche dal Gruppo Parlamentare Socialista del Parlamento Europeo.

Petkoff è considerato una delle voci più autorevoli del paese e ha un ruolo importante nel momento attuale. Membro del Partito Comunista dal 1949 al 1970 è stato fondatore del Mas (Movimiento al Socialismo), partito in cui ha militato fino al 1998. Deputato dal 1974 al 1994 ha ricoperto l’incarico di Ministro per la Pianificazione Economica da marzo 1996 a febbraio 1999. Tra i suoi libri ricordiamo “Checoslovaquia, el Socialismo como problema”, “Socialismo para Venezuela”, “Proceso a la izquierda”, “Democracia para el Socialismo”, “Del optimismo de la voluntad”, “Por que hago lo que hago”. Da sempre legato al PCI italiano, Petkoff oggi dice: “se vivessi in Italia sarei un militante dei DS”.

Molti gli incontri sostenuti da Petkoff e Bafile sia a Bruxelles che a Roma. Fine ultimo analizzare e riflettere su una situazione molto complessa, che troppo spesso induce a semplificazioni dannose per le forze democratiche del paese impegnate, tra grandi difficoltà, a trovare uno sbocco pacifico e democratico alla crisi.

Petkoff ha spiegato con chiarezza le cause per cui non si riconosce in un governo, quello di Chavez, che nasconde dietro un discorso di sinistra una natura in realtà populista e autocratica. Ha parlato anche dei mali del passato e delle cause per cui milioni di voti e una immensa fetta di popolazione hanno insediato al potere un militare che, nel ’92, aveva tentato un colpo di stato. Il futuro del paese non è roseo. Dopo un lungo momento in cui il grande vuoto lasciato dalla decomposizione dei partiti tradizionali e il diffuso malcontento avevano offerto un ruolo a forze golpiste, legate a poteri economici e ad alcuni media soprattutto televisivi, oggi l’opposizione è di nuovo in mano ai dirigenti politici impegnati nella doppia fatica di ricostruire un tessuto di partiti e condurre il paese verso un referendum, unica alternativa democratica ad un conflitto annunciato. Cammino irto di difficoltà ed estremamente pericoloso. Se crollano gli sforzi delle forze democratiche il paese può restare in balia di estremismi dittatoriali o di violenti scontri tra civili.

Negli incontri che ho avuto io, invece, ho messo l’accento in particolare sulla situazione degli italiani radicati in Venezuela. Sono in gran parte emigrati dopo il secondo dopoguerra e si collocano nella fascia della piccola e media borghesia. L’aggravarsi della crisi economica ha costretto molti di loro, soprattutto piccoli imprenditori, a chiudere le fabbriche lasciando in strada anche molta manodopera italiana. Sono persone anziane, spesso sole, che non hanno diritto alla pensione italiana e a malapena riescono a sopravvivere con quella venezuelana. Le enormi carenze del sistema sanitario pubblico e i costi proibitivi di quello privato rappresentano per tutti loro il problema più grave e le file di quelli che si rivolgono al Consolato, alla Missione Cattolica o alle associazioni di collettività per sussidi o aiuti aumenta giorno dopo giorno.

La presenza di Petkoff ha permesso a molti interlocutori di avere un panorama più completo, più reale non soltanto del momento attuale ma anche della storia del Venezuela. I suoi interventi, ricchi di dati e cifre, miravano a forare non soltanto il muro dell’indifferenza di chi è ancora molto lontano dal Venezuela ma soprattutto quello, più fitto e pericoloso, dei pregiudizi. Ha cercato di offrire chiavi di lettura che permettano di guardare oltre le parole e i messaggi di propaganda.

I mea culpa a posteriori arrivano sempre troppo tardi. Il Venezuela è sull’orlo di una tragedia e le forze democratiche e di sinistra che danno un serio contenuto alla parola solidarietà non possono far finta di nulla. L’unica alternativa alla violenza, come ha detto Petkoff, è sostenere le forze democratiche del paese nel percorso di ricostruzione interna e in quello che conduce a un referendum, unica luce in un panorama ogni giorno più buio.



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